Mi ha sempre terrorizzato prendere l’ascensore. In terzo liceo avevo i polpacci come Mike Tyson perché la mia ragazza abitava al sesto piano e facevo su e giù ogni volta che andavo a casa sua. Solo che l’altro giorno una maledetta storta a una caviglia mi ha obbligato a prendere l’ascensore.
L’ironia del caso ha voluto che, in quella prima volta e spero ultima esperienza a bordo di quello strumento del diavolo, un blackout ha fermato il mio terrificante viaggio. Buio e paura. Da solo in quel metro per un metro. Nessuno a chi chiedere aiuto, nessuna speranza.
Urlare? Saltare? Spaccare tutto? Spingere a caso quegli odiosi pulsantini?
Non so perché, ma, senza pensarci, mi sono calato pantaloni e mutande e ho cominciato a masturbarmi. Veloce, frenetico, furioso. Due minuti di intensa auto-passione che mi hanno liberato la mente da quella situazione spaventosa. Nell’esatto istante in cui il mio catartico gesto è giunto al suo gocciolante termine è tornata la luce, l’ascensore è partito e, risistemati mutande e pantaloni, sono sceso con l’aria rilassata dall’ascensore.
E non ho mai parlato di questa storia ad anima viva.
S.M.